Parla il critico gastronomico: «In cucina non amo il cazzeggio. I cuochi troppo fantasiosi mi fanno perdere le staffe. I commenti su Tripadvisor? Il peggio che possa esistere. Gli chef italiani sono bravi, ma permalosi e irriconoscenti. In tanti mi hanno tolto il saluto»
Stroncare un ristorante non è cosa da tutti. «Per criticare un piatto servono esperienza, cultura e soprattutto palato». Parola di Edoardo Raspelli, giornalista, scrittore, conduttore televisivo, probabilmente il più quotato critico gastronomico italiano. Uno dei pochi severi, se necessario. «Se non mi piace lo scrivo, a differenza degli altri». In oltre quarant’anni di recensioni Raspelli stima di aver mangiato in quasi 9mila ristoranti su e giù per il Paese. Un’autorità, tanto da aver assicurato il proprio olfatto per mezzo milione di euro. Autore di una rubrica settimanale su La Stampa, ogni domenica conduce in tv la trasmissione Melaverde, giunta ormai alla 19esima edizione.
Raspelli, come si diventa critico gastronomico?
Ho iniziato abbastanza casualmente. A quindici anni scrivevo per alcuni giornali locali, a venti sono arrivato al Corriere della Sera. È stato Giovanni Spadolini ad assumermi alla cronaca. A Milano ho trascorso gli anni di piombo. Nel 1975 Cesare Lanza mi ha inventato cronista di gastronomia al Corriere dell’informazione. Un giorno mi chiama e mi dice: “Tu devi fare la pagina dei ristoranti. Mangi, paghi e racconti”. Andavo in giro, assaggiavo, poi scrivevo. Mettevo i voti, raccontavo i piatti che avevo provato. E riportavo un’esperienza negativa. Quella rubrica di stroncature si chiamava “il faccino nero”. Apriti cielo. Una dopo l’altra sono arrivate le prime querele. In quegli anni ho subito una ventina di processi, per fortuna sono stato sempre assolto.
«I cuochi troppo fantasiosi mi fanno perdere le staffe. Spesso in cucina prevale il cazzeggio, si cerca di sorprendere. Ormai nei menu non è difficile imbattersi in piatti presentati come “aria di…”, “polvere di…”. In un ristorante ho persino trovato una “pomata di zucchine”. Mi viene schifo solo a pensarci. È una terminologia insulsa e cretina, che si ripercuote in portate bellissime che poi non sanno di niente»
Quindi il suo successo nasce dalla capacità di criticare?
Anche adesso, a differenza di tutti gli altri critici, se mi capita di mangiare in un ristorante pessimo lo scrivo. In Italia c’è solo un altro come me. È Massimo Visintin, sulla cronaca di Milano del Corriere della Sera. Nessuno ha il coraggio di ammettere che un piatto non gli è piaciuto. Che vuole, il giornalismo italiano è tutto una marchetta. E non solo quello gastronomico. Intanto il giovedì continuo a curare le mie recensioni su La Stampa. Ai ristoranti ho aggiunto un’altra rubrica che si occupa di alberghi. E quando c’è da dare qualche pestone, lo faccio anche lì senza troppi problemi.
Per criticare un piatto è necessario avere una sensibilità particolare. Dicono che lei abbia assicurato per 500mila euro il suo gusto e olfatto.
È vero. Dieci anni fa ho stipulato una polizza con la Reale Mutua Assicurazioni. Mi costa 3mila euro l’anno e per fortuna finora non mi è mai servita. Vede, basta un raffreddore, un’anestesia dal dentista, magari un colpo in testa e uno rischia di perdere per sempre l’olfatto. Ma quell’assicurazione l’ho fatta anche per far parlare di me. E come vede funziona…
Facciamo un calcolo approssimativo. In quanti ristoranti avrà mangiato per lavoro?
Al ristorante vado solo per lavoro. Da circa sei anni ho un bendaggio gastrico, mangiare è diventato un supplizio. Il numero? Dunque, se calcoliamo almeno 200 articoli l’anno per 41 anni di carriera, siamo intorno a quasi 9mila ristoranti.
Complimenti.
Non sono mica tanti. Un rappresentante di commercio ne frequenta molti di più.
Processi a parte, qualcuno si è mai risentito dei suoi giudizi a tavola?
Eccome. Cuochi e ristoratori sono permalosi e irriconoscenti, la mettono sempre sul personale. Sapesse quanta gente mi ha tolto il saluto.
«I commenti su Tripadvisor? È il peggio che possa esistere. Se io scrivessi con un decimo della stessa virulenza mi porterebbero via anche le mutande. Ho letto recensioni assurde, gente che si lamenta per aver vomitato dopo cena. Ma come si fa? Mi spiace, ma non funziona così. Quando guardo un’opera d’arte il mio parere non vale come quello di Vittorio Sgarbi. Per criticare il cibo servono esperienza, cultura e palato»
Rispetto a quarant’anni fa in Italia si mangia meglio o peggio?
Molto meglio. Nel 1975 non era difficile trovare un ristorante pessimo. Sapevo benissimo dove si mangiava male, dove i camerieri si pulivano le unghie e bestemmiavano durante il servizio, dove i vini della casa sapevano di aceto. Oggi invece i nostri ristoranti sono i migliori al mondo. Si beve anche meglio. All’epoca il consumo medio di vino era di quasi 150 litri annui. Ora la media è di circa 30 litri. Gli italiani bevono meno, con più attenzione.
Insomma, dobbiamo essere orgogliosi della cucina italiana.
La gastronomia, dopo il turismo, è il principale motivo che spinge gli stranieri a venire nel nostro Paese. Con tutti i rischi del caso. Ecco perché i cuochi troppo fantasiosi mi fanno perdere le staffe. Spesso in cucina prevale il cazzeggio, si cerca di sorprendere. Ormai nei menu non è difficile imbattersi in piatti presentati come “aria di…”, “polvere di…”. In un ristorante ho persino trovato una “pomata di zucchine”. Mi viene schifo solo a pensarci. È una terminologia insulsa e cretina, che si ripercuote in portate bellissime che poi non sanno di niente. Già nel Cinquecento Giovan Battista Marino diceva: “È del poeta il fin la meraviglia…”. Ahimè, penso che per molti grandi cuochi oggi sia lo stesso.
Quali sono i dettagli che squalificano un ristorante?
La mancata corrispondenza tra la carta dei vini e la cantina. Oppure, peggio ancora, quando nessuno ti avverte che manca un piatto presente nel menu. A quel punto ti girano davvero le scatole. Ecco, voglio dare un consiglio d’amico: diffidate sempre dei ristoranti che propongono troppi piatti. Come potranno mai essere preparati con la giusta cura?
L’eccellenza secondo Raspelli. Mi dica tre ristoranti italiani dove secondo lei vale la pena andare a cena.
Il posto del cuore. Un ristorantino tipico, semplice e rustico, dove si mangia la cucina del territorio. È l’albergo ristorante Edelweiss: si trova a Viceno, frazione di Crodo, nell’alto Piemonte. Recentemente ho mangiato da Dio al “Miramonti l’altro”, a Concesio in provincia di Brescia. E poi c’è la Pergola dell’Hilton a Roma. Heinz Beck è un cuoco tedesco ma una grande bandiera della ristorazione italiana nel mondo. E non posso non ricordare il ristorante di Gianfranco Vissani a Civitella del Lago, vicino Orvieto. Un cuoco che ho scoperto io.
Prego?
Sì, sono stato io. Il primo articolo su Vissani l’ho scritto nel 1982 per un giornale che si chiama Gente motori.
«I vegani? Personalmente sono contro gli estremismi, anche gastronomici. Eppure ammetto di nutrire qualche dubbio. Da qualche tempo inizio a domandarmi se sia lecito uccidere un animale per mangiare. Sto diventando vegetariano? Ormai è tardi per cambiare. Ma quando assaggio un pezzo di carne mi capita sempre più spesso di riflettere»
Qualche giorno fa proprio Vissani ha lanciato in televisione un duro attacco contro i vegani. Li ha definiti una setta. Lei è d’accordo?
Personalmente sono contro gli estremismi, anche gastronomici. Eppure ammetto di nutrire qualche dubbio. Da qualche tempo inizio a domandarmi se sia lecito uccidere un animale per mangiare. Perché vede, da un punto di vista nutritivo le proteine vegetali possono sostituire le carni.
Non dica che sta diventando vegetariano…
Ormai è tardi per cambiare. Ma quando mangio un pezzo di carne mi capita spesso di riflettere. Ho 67 anni, mia moglie dice che se continuo così tra una quarantina d’anni diventerò vegetariano.
Tutto cambia. Anche il mestiere del cuoco, un tempo confinato in cucina, ormai ha conquistato la ribalta televisiva. I programmi gastronomici non si contano più.
È un boom mediatico, più che televisivo. Del resto gli ascolti di questi programmi sono quelli che sono, non certo astronomici. Ma sono contento che finalmente anche in Italia ci sia spazio per bravi cuochi e ristoratori professionisti. Altrove, come in Francia, succede da anni. Meglio tardi che mai.
Intanto per lei la concorrenza aumenta, soprattutto in rete. Tripadvisor ci ha reso tutti critici gastronomici. Che ne pensa?
È il peggio che possa esistere. Se io scrivessi con un decimo della virulenza che leggo su internet mi porterebbero via anche le mutande. Credo che alla prima causa persa, Tripadvisor inizierà a filtrare i commenti. Ho letto recensioni assurde, gente che si lamenta per aver vomitato dopo cena. Ma come si fa? Recentemente mi ha chiamato il proprietario di un importante albergo di via Veneto, a Roma, scusandosi desolato per le mie critiche su Tripadvisor. Il bello è che io non avevo scritto nulla. “Il mio giudizio potrebbe anche essere peggiore di quello che ha letto – gli ho spiegato – ma non sono mai stato nel suo locale”. In parole povere, qualcuno aveva creato un profilo fasullo con il mio nome e la mia fotografia e aveva stroncato quell’albergo. Tripadvisor è come l’elenco del telefono: c’è posto per tutti. Mi spiace, ma non funziona così. Quando guardo un’opera d’arte il mio parere non vale come quello di Vittorio Sgarbi. Per criticare il cibo servono esperienza, cultura e palato.